Archivio Claudio Abate

ARCHIVIO
CLAUDIO
ABATE

BIOGRAFIA

Claudio Abate nasce a Roma nel 1943. Mostra fin da adolescente un interesse per il mondo dell’arte e della fotografia. Figlio di un pittore amico di de Chirico, cresce nell’ambiente disordinato e per alcuni versi eccentrico dell’arte. Del 1959 è il ritratto di Mario Schifano, il fotografo si confronta con l’artista ai suoi esordi, non vuole essere un’immagine paludata ma un intimo dialogo tra amici. Comincia a lavorare molto presto e già a 16 anni collabora con la Press Service Agency. Dal 1961 al 1963 lavora al “Life magazine” come assistente di Eric Lessing, tra i fondatori dell’agenzia fotografica Magnum. Per un lungo periodo la collaborazione continua con “Playman”. In quegli stessi anni inizia a lavorare per Sipario, diventa il testimone del teatro d’avanguardia di Carmelo Bene. Al 1963 risalgono alcuni scatti realizzati durante la rappresentazione di Cristo ‘63. Lo spettacolo provoca la chiusura definitive del Teatro Laboratorio e la condanna in contumacia di Carmelo Bene, a causa di quel Giovanni Apostolo (Alberto Greco) che urinò sopra la testa dell’ambasciatore argentino. In quel caso le fotografie di Abate furono le testimonianze determinanti per l’assoluzione del regista. La collaborazione con gli artisti avviene naturalmente e naturalmente diventa il “testimone oculare”, come è stato definito da molti, del fermento artistico a metà degli anni Sessanta fino a tutta l’avanguardia del decennio successivo. Partecipa attivamente al clima di quegli anni e le sue fotografie oltre ad essere l’unico e prezioso documento di quegli eventi, di cui altrimenti non sarebbe rimasta traccia, diventano emblema del periodo. Riesce a cogliere in un’unica immagine complesse opere ambientali che difficilmente potrebbero essere ricondotte ad un unico punto di vista. Memorabile la fotografia dei Cavalli di Kounellis all’Attico (1969) o la fotografia che ritrae Lo Zodiaco di Gino De Dominicis all’Attico (1970). In questo caso Abate riuscì a cogliere in un unico scatto, quell’elissi segnata dagli oggetti e individui che erano sulla scena. Come ricorda lui stesso «Era necessario che realizzassi una fotografia de Lo Zodiaco capace di riassumere in sé l’opera intera perché quasi sempre rimane una sola immagine del lavoro e questa deve essere necessariamente la foto definitive dell’opera, quella che l’artista riconosce e accetta come fosse sua».

Le fotografie non diventano la testimonianza fredda di un evento artistico ma sono, come direbbe Achille Bonito Oliva, una visione affettiva dell’opera in oggetto. Dopo i così detti anni caldi, durante i quali diventa fotografo-lettore dell’arte contemporanea d’avanguardia, Claudio Abate sperimenta un linguaggio proprio utilizzando le differenti tecniche della fotografia. Cominciando dai Contatti con la superficie sensibile (1972), Abate tributa non solo un omaggio a quanti artisti-amici erano stati testimoni con lui di un’esperienza, ma presenta opera in bianco e nero, realizzate attraverso il contatto sulla superficie sensibilizzata dalla luce. Il Progetto per un monumento al cinema del 1983 non è propriamente una fotografia, ma è un’opera complessa costruita da un’enorme silhouette di Michelangelo Antonini stampata a contatto di una superficie costituita da tutti i fotogrammi di un lungometraggio del regista. Negli anni Ottanta Abate per la prima volta si confronta con il colore, conservando quel dialogo intimo con l’opera e gli artisti, tralasciando la descrizione fedele alla realtà – che del colore è una delle caratteristiche precipue – e accentuandone il mistero. Risale al 1986 una serie di scatti sull’opera di Joseph Beuys conservate al LandesMuseum di Darmstadt, con un allestimento pensato e curato nel minimo dettaglio da Beuys stesso. Il progetto fotografico volute fortemente da Eva Beuys, moglie dell’artista tedesco, e realizzato dopo la sua morte, è confluito poi nel volume Joseph Beuys. Block Beuys pubblicato da Schirmer & Mosel nel 1990, le fotografie sono state esposte per la prima volta nel 2006 presso la Galleria dell’Oca a Roma. Negli anni la collaborazione con gli artisti non è certa diminuita: trasferito il suo studio nel vivace quartiere romano san Lorenzo inizia un sodalizio con quella che negli anni Ottanta è stata definite la “Nuova Scuola Romana”. Nel clima post-moderno degli anni Ottanta e Novanta ha sviluppato interessanti ricerche portando artisti-amici a lavorare con lui nella camera-oscura, evidenziando le peculiarità di ognuno di loro, e ponendoli in diretto contatto con la propria ricerca personale. Questo progetto è sfociato nella mostra del 2005 dal titolo Obscura. Le sue fotografie sono diventate oggetto di numerose mostre nazionali e internazionali. Tra le mostre: la partecipazione 45’ edizione dell’Esposizione Internazionale d’Arte La Biennale di Venezia nel Padiglione Italia (1993); la retrospettiva Vent’anni in Atelier (autunno 2001) all’Accademia di Francia presso Villa Medici di Roma; la mostra al Museo di Belgrado (2002); le fotografie esposte al MACRO di Roma (2002); la Biennale di Fotografia di Mosca (2004); l’esposizione Maison Européenne Photographie di Parigi (2006); la mostra Arte povera, Hauser & Wirth, New York (2017); le esposizioni Arte Povera – Roman art scene, presso Almine Rech Gallery di Brussels e Londra (2018-2019); una selezione di scatti su Pino Pascali sono stati esposti al Centro de Arte Reina Sofia, Madrid (2001); la personale Claudio Abate Superficie sensibile presso il MAXXI Museo delle Arti del XXI Secolo di Roma (2023). Claudio Abate muore nel 2017 e attualmente l’Archivio Claudio Abate, gestito da Riccardo e Giulia Abate, si occupa di preservare, promuovere e conservare il materiale fotografico e documentale. Si può dire che Claudio Abate abbia trascritto, attraverso il suo sguardo, la storia dell’arte italiana e non solo, degli ultimi quaranta anni, dando alla stessa un proprio personale contributo.

©  Benedetta Carpi De Resmini